di Amedeo Cennamo
Grazie all’interessamento dell’Auriga Cilento è stato possibile, dopo 29 anni di chiusura, entrare un’altra volta nella chiesa di S. Egidio. La prima volta abbiamo fatto un sopralluogo il 14 agosto in compagnia del parroco Don Costantino per accertarci del problema sicurezza e la successiva visita il 20 agosto 2009.
E’ stata un giorno caratterizzato da vivo godimento dell’animo, da grande allegrezza, da profonda giocondità. Tutti hanno evocato i momenti del tripudio per la Prima Comunione, per la Cresima impartita dal presule D’Agostino. Generale, quindi, la commozione nel varcare il mastodontico portone dell’antica chiesa. Occasione d’oro, per riempirsi gli occhi di dolci e non sopite immagini del non dimenticato tempio. Tanti giovani neolaureati hanno però visto per la prima volta questa chiesa e per loro è stata una favolosa scoperta. Hanno, quindi, tempestato di domande i più anziani, già adulti al tempo del terremoto.
C’erano turisti, in vacanza ad Altavilla, che non si sono voluti privare del piacere di vedere l’interno della chiesa. E’ stato gradevole rilevare con quanto interesse osservavano i particolari della struttura architettonica. I più anziani hanno fornito informazioni sulle statue una volta presenti nelle nicchie vuote e sulle tele conservate presso il Convento San Francesco. Con tanta maraviglia i più giovani hanno appreso che sotto il presbiterio c’e’ la cripta, ora chiusa, con le tombe dei sacerdoti e che davanti ai sei altari c’erano sei tombe, pure loro chiuse nel 1939.
In verità subito dopo il terremoto mi fu consentito di entrare da solo nella chiesa per fare delle foto. La contro facciata era orrendamente mascherata da travi e mezzanelle, disposte nella maniera più cervellotica possibile. Non ce n’erano due che andassero nella stessa direzione. Alcune tavole erano state inserite tra le canne dell’organo, piegandole orribilmente. Cosa dovessero mantenere non l’ho mai capito! Era visibile comunque, il distacco della facciata dalla volta. Ho constatato con immenso piacere che quell’obbrobrio è sparito. La facciata è stata saldamente attaccata alle pareti con profonde iniezioni di cemento.
Il muratore Luigi Morrone dice che il tetto è stato rifatto con perizia e che la volta, in pietra, ad arco a tutto sesto, è tetragona ad ogni forza. A fianco all’empito di gioia per esserci riappropriati della memoria collettiva, non possiamo esimerci dal muovere dei rilievi critici. Ben tre ditte hanno fasciato e sfasciato di ponteggi questa chiesa, era legittimo aspettarsi qualcosa di più. La prima ditta biancheggiò subito la parte alta del campanile e si fermò al tetto della chiesa. Dalla nostra aula, durante i miei trascorsi di maestro, io e i miei alunni vedevano il campanile diventare di giorno in giorno sempre più bianco.
Il 20 agosto, dall’interno della chiesa, abbiamo fatto il sopralluogo del campanile: siamo dovuti letteralmente scappare in quanto si è constatata la criticità nella quale versano le scale lignee tutte tarlate e malferme. Peccato che siano scomparsi, duranti i lavori, i due angioletti che ornavano l’altare maggiore e per i lavori eseguiti, in questi anni, da tre ditte mi sarei aspettato di trovare meno calcinacci e pavimento sconnesso.
La chiesa risale al 1756. Nel 1885 il parroco Don Vincenzo Mottola fece costruire due altari laterali dedicati al sacro cuore di Gesù e Maria, questo intervento costò la rimozione del trono dell’abate che si trovava in cornu evangeli. Nello stesso tempo spostò l’organo dalla parete laterale sinistra collocandolo sulla contro facciata.
L’organo, a otto registri, con flauto, voce umana e uccelliera, era stato comprato dall’abate Angelo Ferro di Napoli nel 1742 ed era costato, con il trasporto, 108 ducati. Questa notizia è riportata dai Ferrara e da Galardi-Messone . La data 1742 appare poco attendibile. L’abate Don Giuseppe Vultura fece demolire la vecchia chiesa nel 1739 e l’attuale chiesa fu costruita dal 1748 al 1756 dall’abate Gio. Battista da Morcone. Non è possibile che l’abate Angelo Ferro sia vissuto in questo frattempo, commissionando l’organo nel 1742, ovvero epoca in cui la vecchia chiesa era stata demolita e la nuova chiesa ancora non costruita.
Comunque tutti gli interventi del parroco Mottola sono da ritenere incongrui ed, eliminando il trono dell’abate, non ha fatto altro che cancellare i segni della Storia; non si ottunde la memoria collettiva, Sant’Egidio è stata badia nullius dal 1308 al 1811, ovvero per mezzo millennio. Spedì l’organo sulla contro facciata, poggiato su una cantoria ardita, slanciata, ma esile, gracile,debole.
Lassù osavano arrampicarsi i componenti di un complessino musicale durante la notte di Natale. Per il resto dell’anno, l’organista suonava un harmonium, poggiato alla base del pilastro destro del grande arco. Io sinceramente abbatterei tutte le modifiche del parroco Mottola peraltro indagato anche per truffa per gli scavi al Feo ma assolto dopo un processo durato 18 anni. Riporterei giù l’organo, dove l’aveva sistemato l’ abate Ferro.
L’organo oggi andrebbe restaurato in quanto è di buona fattura ed è sempre un organo del ‘700. Riportare l’organo dov’era originariamente? Certo, perché le nuove indicazioni liturgiche prevedono la sistemazione di questi strumenti vicino all’altare e vicino al popolo e in tal caso si rispetterebbe la volontà dell’antico abate. Mi rendo conto però che la soprintendenza non accetterebbe questa soluzione con un ritorno ad un così lontano passato.
mercoledì 28 ottobre 2009
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